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Italia senza veti, rivoluzione pacifica

di Corrado Passera

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21 giugno 2009

In tutto il mondo la classe dirigente ha una priorità assoluta: riavviare la crescita e ricreare fiducia per uscire dalla grave recessione attuale ed evitare che diventi depressione. Ci vorranno su tanti temi risposte globali (prima di tutto i Global Legal Standard), molto impulso dovrà venire da politiche concordate a livello europeo, ma ogni paese ha sue specifiche esigenze.
L'Italia ha indubbie forze da mettere in campo e ha potuto affrontare la crisi meglio di molti altri, ma ha bisogno di trovare nuove strade di crescita perché è particolarmente toccata dal calo della domanda internazionale e perché viene da un lungo periodo di sviluppo insufficiente. Se non saremo capaci di riavviare una nuova fase di crescita sostenuta e sostenibile tutto diventerà più difficile: anche le aziende - ancora moltissime - che stanno resistendo finiranno le loro riserve, la disoccupazione raggiungerà livelli intollerabili, il Sud in particolare avrà problemi di tenuta sociale, i conti pubblici scapperanno di mano.

Abbiamo bisogno di creare condizioni di crescita sia nel caso la recessione mondiale continui - ed è certamente una possibilità - sia che la recessione si riduca di intensità, come qualche timido segnale sembrerebbe iniziare a indicare. In tutti i settori e in tutto il mondo la concorrenza comunque aumenterà e se non ci attrezziamo anche come sistema paese, rischiamo di approfittare meno degli altri della prossima fase positiva o di pagare più degli altri il prolungarsi di quella negativa.

La mia opinione è che possiamo fare molto e velocemente per favorire una nuova fase di crescita nel nostro paese. Dobbiamo farlo con misure sia congiunturali che strutturali che tengano in debito conto i vincoli della finanza pubblica e capitalizzino su quanto è stato già avviato dal governo negli ultimi mesi. Per riattivare questa nuova fase di crescita abbiamo bisogno di due strumenti: un piano di medio periodo da realizzare con coerenza e uno shock positivo capace di modificare in tempi brevi l'andamento negativo dell'economia.

La crescita sostenibile viene dalla combinazione di tanti elementi, tutti fra loro collegati e interdipendenti e da un grandioso sforzo comune. Se vogliamo essere una economia solida e una società solida bisogna lavorare contemporaneamente su tutti i principali fattori con un'ottica di medio periodo. A grandi linee i fattori determinanti sono la competitività delle imprese, la competitività del sistema paese, la coesione e il dinamismo sociale.

La competitività delle imprese dipende sia dalla loro capacità di innovare e di internazionalizzarsi, sia dalla loro dimensione e forza patrimoniale e finanziaria. La competitività del sistema paese è collegata soprattutto alla qualità e quantità delle sue infrastrutture, al sistema dell'istruzione e della ricerca, all'efficacia e all'efficienza della pubblica amministrazione, alla solidità e legittimazione delle sue regole espresse in ultima istanza dal sistema giudiziario.
La coesione sociale - che si sta rivelando per l'ennesima volta tanto importante quanto la competitività, in barba ai darwinisti sociali - è a sua volta fortemente determinata dal funzionamento del welfare state e in particolare da tutti quei meccanismi che tolgono "paura" al presente e al futuro: la sanità, la previdenza, gli ammortizzatori sociali, l'assistenza ai più deboli, la solidarietà volontaria. Viene poi il dinamismo, cioè la quantità di energia che la società e l'economia sanno sprigionare e con la quale sanno compensare anche altre mancanze. Questo dinamismo è il risultato di molti fattori, ma due sono fondamentali: la mobilità sociale - orizzontale e verticale - e la meritocrazia in tutte le sue forme.

I quattro motori possono accelerarsi l'uno con l'altro, ma se anche uno solo è fermo, si blocca tutto, come un orologio che funziona grazie all'interdipendenza dei suoi tanti ingranaggi, che necessitano di continue manutenzioni e di quotidiane ricariche. Insieme, tra l'altro, concorrono per recuperare e accrescere la fiducia. Cosa dovremmo fare in Italia agli occhi di molti è del tutto chiaro e spesso è anche in buona parte condiviso. La nostra tragedia è che da tanti anni molte di queste cose semplicemente non le facciamo.

Moltissime nostre imprese sono competitive in tanti settori. Lo dimostrano anche la tenuta delle quote dell'Italia sul commercio internazionale, persino in anni di euro forte. Ma troppo spesso tante altre aziende non hanno né le dimensioni né la forza per competere su mercati sempre più globali. Il nostro sistema paese, invece di essere trainante, è sempre più un peso e un vincolo al nostro sviluppo.

In troppi settori il mercato e la concorrenza non possono dispiegare le loro energie. Stiamo accumulando ritardi intollerabili nello sviluppo di tutte le categorie di infrastrutture. Abbiamo un sistema di istruzione e formazione deludente e che, nel suo insieme, non soddisfa le esigenze del mondo del lavoro e sforna disoccupati. Abbiamo una pubblica amministrazione che - fatte salve le solite eccezioni - ha effetti paralizzanti su tutte le decisioni. La giustizia, da parte sua, non può più chiamarsi tale perché i tempi delle sue decisioni non hanno più nulla a che vedere con i tempi degli individui, delle famiglie e delle imprese. E in questo modo la nostra società perde il collante delle norme.

  CONTINUA ...»

21 giugno 2009
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